30 ottobre 2025

Dipendenze, Sicilia a corto di strutture e operatori


La Fondazione Gimbe denuncia una rete di servizi disomogenea: pochi ambulatori, ancora meno comunità residenziali. Crescono i giovani coinvolti e il disagio resta sommerso



Dipendenze, Sicilia a corto di strutture e operatori

Foto di Alterio Felines da Pixabay

Ci sono ragazzi sempre più giovani che arrivano in pronto soccorso per crisi legate alle sostanze, famiglie che cercano aiuto e territori dove i servizi pubblici sono pochi e lontani. È l’immagine che emerge dal nuovo rapporto della Fondazione Gimbe sui Servizi per le Dipendenze (SerD), presentato a Milano.

In Sicilia, nel 2024, la situazione appare particolarmente critica. I servizi di primo livello, quelli più accessibili e destinati alle persone difficili da intercettare, sono appena 0,3 ogni 100mila abitanti tra i 15 e i 74 anni, contro una media nazionale di 0,4. Peggio solo Calabria, Campania e Puglia.

Non va meglio sul fronte dei servizi ambulatoriali, che dovrebbero garantire presa in carico, trattamenti terapeutico-riabilitativi e sostegno ai familiari. Sull’Isola il tasso medio si ferma a 2,2 ogni 100mila abitanti, rispetto ai 2,6 della media italiana. Nel 2023, inoltre, ogni operatore siciliano ha seguito in media quasi 20 pazienti, dato inferiore alla media nazionale (24,1), ma segno di un sistema sotto pressione e spesso non integrato con la rete socio-sanitaria.

Ancora più ampio il divario nei servizi residenziali e semi-residenziali: in Sicilia se ne contano 0,7 ogni 100mila abitanti, contro 2,1 nel resto d’Italia.

“Stiamo pagando il prezzo di un immobilismo normativo e organizzativo – spiega Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe –. I servizi per le dipendenze sono frammentati e disomogenei. Senza una riorganizzazione nazionale rischiamo di lasciare indietro le aree più fragili”.

Un dato inquietante arriva anche dai pronto soccorso: un accesso su dieci riguarda minorenni, mentre i ricoveri droga-correlati continuano a crescere.

In Sicilia, dove il disagio giovanile e la povertà educativa restano diffusi, la carenza di strutture rischia di tradursi in una nuova forma di diseguaglianza sanitaria. La prevenzione resta affidata alla buona volontà di operatori e associazioni, in un sistema che, come denuncia Gimbe, “ha bisogno urgente di essere ripensato come parte integrante dell’assistenza territoriale”.

PP

 


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